Nel M5S è il momento del tutti contro tutti. La batosta rimediata dal Movimento alle ultime regionali è la miccia che fa divampare la fiamma delle tensioni interne. E non basta il plebiscito ottenuto dal Sì al referendum sul taglio dei parlamentari per indorare la pillola. All’interno delle chat è già partito il processo, con i parlamentari più agguerriti che chiedono le dimissioni dei vertici, in attesa dell’assemblea congiunta di giovedì, dove si parlerà di stati generali e riorganizzazione del M5S. Alle parole al vetriolo di Alessandro Di Battista, che in diretta su Facebook parla senza mezzi termini della “più grande sconfitta della storia” dei 5 Stelle e di “crisi identitaria del Movimento”, si somma lo sfogo di deputati e senatori. Dalle chat visionate dall’Adnkronos è evidente il regolamento dei conti interno. Il parlamentare veneto Raphael Raduzzi chiede l’azzeramento dell’attuale leadership. Ed è scontro tra il collega Alvise Maniero e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà (veneti anche loro): è assurdo – il senso del ragionamento del ‘filo sovranista’ Maniero – che oggi parli ancora chi ha sostenuto la linea che ha condannato il M5S all’irrilevanza da Nord a Sud, noi siamo entrati in Parlamento perché eravamo il contrario di questo; quella del ‘Pd ad ogni costo’ – l’analisi parlamentare – non è una politica di governo.
Si unisce al coro Emanuela Corda, la quale se la prende con i ministri che “dettano” la linea al M5S: chi ha deciso che il Movimento è di sinistra o di destra? Nel mirino anche il ripetuto ricorso al voto di fiducia da parte dell’esecutivo: la fiducia non si impone ma va guadagnata. Dal canto suo, D’Incà difende l’operato del governo e invita i suoi interlocutori a un bagno di realtà: i tempi del ‘noi contro tutti’ sono finiti, rimarca il ministro, strenuo sostenitore dell’alleanza con il Partito democratico anche sui territori. Per Andrea Colletti – uno dei 5 Stelle schieratisi per il No al referendum – il problema è la mancanza di visione politica: a livello governativo il M5S ora è mera gestione del potere, l’affondo del deputato abruzzese.
Se c’è una cosa su cui la maggioranza dei big pentastellati concorda è che la convocazione degli stati generali non può più essere rimandata. “Prima si fanno e meglio è”, scandisce il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. “Tutto il Movimento ne ha bisogno”, twitta invece la vicepresidente del Senato Paola Taverna, mentre nella chat con i facilitatori, visionata sempre dall’Adnkronos, chiede a gran voce il coinvolgimento degli attivisti nell’organizzazione dell’appuntamento congressuale.
Anche il presidente della Camera Roberto Fico entra nel dibattito sul futuro del M5S: “Gli stati generali non siano una guerra tra bande o una resa dei conti ma qualcosa di molto più alto che sia proiettato nel futuro, che ci ridia lo slancio”, l’auspicio della terza carica dello Stato, che si candida a dare il suo contributo: “Io sono sempre disposto a dare un aiuto e una mano al M5S. Ma tendo a privilegiare l’idea di un organo collegiale. Il punto non è capo politico-organo collegiale ma è ritrovare una forza interna che deriva dalla partecipazione e dal confronto”.
A pesare come macigni sono però le parole di Di Battista, che sui social lancia un pesante j’accuse nei confronti dell’attuale dirigenza pentastellata: “L’unica cosa da fare è fare gli stati generali il prima possibile, ben partecipati, ben organizzati con un nuova agenda per uscire dal buio”. “E’ il preludio dello strappo?”, si domanda un deputato commentando le parole di ‘Dibba’. Anche Max Bugani, ex socio di Rousseau e attuale capo staff del sindaco di Roma Virginia Raggi, è tranchant: “Un Movimento che in due anni ha perso praticamente 8 milioni di voti non ha nessun motivo per esultare oggi. Così rischiamo di fare la fine di Narciso”.
Antonio Atte (per AdnKronos)